Motivazione postuma dei provvedimenti tributari di accertamento

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Fonte: JuraNews

Massima: “La preclusione ad una postuma e tardiva integrazione – con valore sanante – di una motivazione carente o insufficiente non impedisce all’amministrazione finanziaria di controdedurre alle censure del contribuente in sede processuale per difendere la motivazione ab origine adeguata anche con la prospettazione ad abundantiam di nuovi argomenti o la produzione di nuovi documenti, che non erano stati enunciati, riprodotti o menzionati nell’atto di accertamento, ma che, comunque, assumono rilevanza processuale sul piano della delimitazione del thema decidendum e del thema probandum. (massima non ufficiale)

Con l’ordinanza in esame la Corte delimita l’ambito dell’integrazione della motivazione in giudizio (c.d. “motivazione postuma”) dei provvedimenti tributari di accertamento, in special modo in ambito catastale.

Sul punto, è necessario richiamare il costante orientamento di legittimità secondo cui «

L’obbligo di motivazione dell’atto impositivo persegue il fine di porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa impositiva in misura tale da consentirgli sia di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale e sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l’an e il quantum debeatur. Detti elementi conoscitivi devono essere forniti all’interessato non solo tempestivamente (e cioè inserendoli ab origine nel provvedimento impositivo), ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta al medesimo un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa [non assumendo rilevanza] la circostanza che la contribuente abbia comunque potuto difendersi efficacemente in giudizio, non potendo operarsi una lettura riduttiva del ruolo della motivazione che, pur letta in funzione del diritto di difesa, finisce per legittimare un inammissibile giudizio ex post sulla sufficienza della stessa, argomentata dalla difesa comunque svolta dal contribuente, piuttosto che un giudizio ex ante argomentato sulla rispondenza degli elementi enunciati nella motivazione a consentire ex se l’esercizio effettivo del diritto di difesa.» (Cass. civ., sez. V, 31 luglio 2020, n. 16480, ord.).

Si è ribadito pertanto

«il divieto di una motivazione “postuma” del provvedimento impugnato, situazione che si verifica quando l’Amministrazione finanziaria colma ex post, e cioè in giudizio, le lacune dell’atto impositivo caratterizzato da un’insufficiente esposizione delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda, avendo affermato che “tali elementi conoscitivi devono essere forniti all’interessato non solo tempestivamente con l’inserimento ad origine nel provvedimento impositivo, ma anche con quel grado di determinatezza ed intellegibilità che permetta al medesimo un esercizio non difficoltoso del proprio diritto di difesa”» (Cass. civ., sez. trib., 7 aprile 2022, n. 11284, ord.).

Principio ribadito anche dalla Corte costituzionale che ha avuto modo di osservare come

«in ragione del fatto che i motivi del ricorso sono già contenuti nel reclamo e non sono successivamente modificabili – salva, naturalmente, l’integrazione «resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti a opera delle altre parti o per ordine della commissione» (art. 24, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992) − deve escludersi che l’amministrazione finanziaria possa avanzare una pretesa che, ancorché inferiore rispetto a quella iniziale, sia diversamente motivata o fondata su nuovi presupposti. Tale interpretazione costituzionalmente adeguata dei poteri dell’amministrazione finanziaria esclude, evidentemente, che l’indicata impossibilità di modificare i motivi di doglianza contenuti nel reclamo possa ledere il diritto di difesa del ricorrente». (Corte cost., 16 aprile 2014, n. 98).

Con la pronuncia in esame, la Corte ha ritenuto, invero ammissibile la produzione in giudizio di documenti da parte dell’amministrazione non aventi valenza integrativa della motivazione, e, pertanto, non diretta a colmare un vuoto che costituirebbe un vizio del provvedimento, ma soltanto a supportare sul piano probatorio la difesa della sua legittimità da parte dell’amministrazione finanziaria.