La “giusta causa” di licenziamento

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La “giusta causa” di licenziamento integra una clausola generale che l’interprete deve concretizzare tramite fattori esterni relativi alla coscienza generale e principi tacitamente richiamati dalla norma e, quindi, mediante specificazioni di natura giuridica, la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi integranti il parametro normativo costituisce un giudizio di fatto, demandato al giudice di merito ed incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici; la sussunzione della fattispecie concreta nella clausola elastica della giusta causa secondo standard conformi ai valori dell’ordinamento, che trovino conferma nella realtà sociale, è dunque sindacabile in sede di legittimità con riguardo alla pertinenza e non coerenza del giudizio operato, quali specificazioni del parametro normativo avente natura giuridica e del conseguente controllo nomofilattico affidato alla Corte di cassazione (così, Cass. Sez. L, 09/03/2023, n. 7029, e numerosi precedenti ivi citati).

In particolare, nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione nel precedente da ultimo citato (definito con la cassazione della sentenza impugnata), il recesso datoriale era stato considerato dai giudici di merito sproporzionato in quanto la condotta in contestazione (apprezzamenti di carattere sessuale che un lavoratore aveva rivolto ad una collega durante l’orario di lavoro e alla presenza di altre persone) era stata qualificata come meramente inurbana, mentre doveva essere considerata contrastante con i valori radicati nella coscienza generale ed espressione di principi fondanti dell’ordinamento.

Fonte: JuraNews