La prima sezione civile della Corte di Cassazione si è pronunciata sulla corretta interpretazione di “dato personale” in relazione ai dati valutativi del rendimento lavorativo.
La controversia esaminata dalla Suprema Corte concerneva la mancata ostensione di alcuni documenti aventi ad oggetto un parere circa la sospensione dall’incarico di un soggetto facente parte del collegio dei revisori dei conti dell’Istituto superiore di sanità (ISS). Il soggetto interessato ha richiesto l’accesso ai propri dati personali trattati dal Ministero, in particolare alle comunicazioni tra l’ISS e il Ministero che riguardavano la sua persona. Nonostante abbia ricevuto una risposta dal Ministero, questa non includeva la nota firmata dal Presidente dell’Istituto che ha causato la sospensione, né altre informazioni pertinenti. Ha presentato di conseguenza un reclamo al Garante per la protezione dei dati personali, richiedendo l’accesso completo ai suoi dati personali. Tuttavia, il reclamo è stato respinto senza l’emissione di un provvedimento di preavviso di rigetto, sul presupposto che i dati, come quelli oggetto della sua richiesta, non costituivano di per sé dato personale e che non occorreva comunque necessariamente consegnare copia dei documenti contenenti i dati in questione. Il Tribunale ha successivamente accolto, a seguito del ricorso proposto, la richiesta di ostensione dei dati, decisione che è stata impugnata dall’Autorità garante per la protezione dei dati personali e dal Ministero della Salute dinanzi alla Corte di Cassazione.
I ricorrenti si dolgono che il giudice di merito, accogliendo la tesi di controparte, abbia ritenuto che i dati valutativi relativi ad una persona rientrino nei dati personali e deducono che sia giunto a tale conclusione partendo da una errata interpretazione della giurisprudenza europea in ordine alla nozione di dato personale ai fini dell’applicazione della normativa in materia di privacy. Criticano la statuizione, con particolare riferimento all’applicazione al caso concreto, compiuta dal Tribunale, dei principi espressi dalla CGUE nella sentenza in causa C-434 /16, secondo i quali il termine “qualsiasi informazione” nella definizione dei dati personali include informazioni «tanto oggettive quanto soggettive sotto forma di pareri o di valutazioni, a condizione che esse siano “concernenti” la persona interessata», ritenuti non confacenti alla situazione in esame.
Con ordinanza dell’8 aprile 2024, n. 9272, la Corte di Cassazione ricorda che, in base alla sentenza della Corte di Giustizia in causa C-434 /16, “L’articolo 2, lettera a), della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, deve essere interpretato nel senso che, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, le risposte scritte fornite da un candidato durante un esame professionale e le eventuali annotazioni dell’esaminatore relative a tali risposte costituiscono dati personali, ai sensi di tale disposizione“.
Inoltre la Suprema Corte, con riferimento all’articolo 14 (Informazioni da fornire qualora i dati personali non siano stati ottenuti presso l’interessato) del GDPR (Regolamento UE 27 aprile 2016, n. 2016/679), afferma che, a differenza di quanto assumono i ricorrenti, tale articolo non riguarda solo le informazioni che il titolare del trattamento deve fornire, quando i dati personali non siano stati ottenuti presso l’interessato stesso, “dirette alla totalità degli interessati”, ben potendo riguardare anche le informazioni dovute ad un singolo interessato, come si evince dal chiaro contenuto letterale dell’art.14, senza che tale conclusione possa essere revocata in dubbio dalla ipotesi derogatoria dell’obbligo informativo introdotta al par. 5, lett. b) dello stesso art. 14, che prevede che «I paragrafi da 1 a 4 non si applicano se e nella misura in cui: (…) b) comunicare tali informazioni risulta impossibile o implicherebbe uno sforzo sproporzionato (..)» e che, proprio perché integra una deroga non è suscettibile di applicazione analogica, nemmeno per escludere l’onere informativo in un caso come quello in esame, in cui risulta incontestato che il Ministero abbia trattato i dati personali del singolo interessato ottenuti da un terzo (l’ISS).
In conclusione, la Corte di Cassazione ritiene che la decisione impugnata sia immune da vizi e rigetta il ricorso presentato.
Fonte: JuraNews